11 ottobre, 2010

Sant'Agata Militello. Il lettore Antonio M. segnala il link con il resoconto della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.

Locandina realizzata Da Dario Caranna
Il lettore del Blog Antonio M. in un commento inserito nel post precedente, scrive:
"Leggete il resoconto del 06/10/10 della Commissione Parlamentare di inchiesta
Se amate il vostro paese leggete attentamente sino a pag. 359; vi renderete conto che la vostra Amministrazione sta per condurre il paese in una strada senza ritorno. Saluti Antonio M. "

http://www.camera.it/453?bollet=_dati/leg16/lavori/bollet/201010/1006/html/39
andate sulla barra modifica, poi trova nella pagina e digitate 343. Sarete indirizzati sulla pag. 343 relativa alla prov. di Messina.
**** Per alleviarvi la fatica mi sono preso la briga di "raggiungere" il link segnalato da Antonio M e col copia-incolla ho inserito in questo post la parte relativa alla nostra provincia della relazione della



Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti - Mercoledì 6 ottobre 2010-
(leggi tutto cliccando su "Ulteriori informazioni...")










ALLEGATO
PROPOSTA DI RELAZIONE SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI NELLA REGIONE SICILIANA(Relatori: sen. Gianpiero De Toni; on. Giovanni Fava)

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II - Provincia di Messina.
1) Attività della Commissione. Premessa.
L'approfondimento relativo alla situazione della provincia di Messina è stato effettuato attraverso l'audizione del prefetto, dottor Francesco Alecci, del questore, dottor Vincenzo Mauro; del presidente della provincia, dottor Giovanni Ricevuto, e del sindaco di Messina, dottor Giuseppe Buzzanca.
Sono stati inoltre auditi i magistrati: il dottor Antonio Cassata, procuratore generale presso la corte d'appello di Messina, il dottor Guido Lo Forte, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Messina, il dottor Salvatore De Luca, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Peraltro il dottor Lo Forte e il dottor De Luca sono stati sentiti in occasione di entrambe le missioni organizzate dalla Commissione in Sicilia.
Le criticità nel settore dei rifiuti nella provincia di Messina sono essenzialmente legate ai seguenti aspetti:
dissesto finanziario delle società d'ambito territoriale;
proliferazione delle assunzioni all'interno delle società d'ambito con conseguente aumento dei costi del servizio;
inadeguatezza impiantistica;
presenza nella provincia di un'unica discarica, quella di Mazzarà Sant'Andrea, che peraltro è stata oggetto di importanti indagini da parte dell'autorità giudiziaria, anche sotto il profilo delle infiltrazioni mafiose nella gestione;
proliferazione di numerosissime discariche abusive (solo nel territorio della città di Messina ne sono state censite sessantuno);
massiccia presenza della criminalità organizzata in vari settori dell'economia, compreso quello dei rifiuti;
carenza di adeguati controlli sul territorio da parte degli organi amministrativi a ciò deputati. 
2) La gestione del ciclo dei rifiuti.
Nell'ambito della provincia di Messina sin dal 2002 sono stati individuati cinque ambiti territoriali ottimali:
l'ATO ME 1, che comprende trentatré comuni della fascia nebroidea e tirrenica da Mistretta fino a Capo d'Orlando. La gestione dei servizi di igiene urbana è affidata ad una società consortile di scopo denominata «Nebrodi Ambiente ». I rifiuti vengono raccolti in larghissima parte in forma indifferenziata e vengono conferiti presso la discarica di Mazzarà Sant'Andrea;
l'ATO ME 2 che comprende trentotto comuni della fascia tirrenica da Brolo fino a Villafranca Tirrena. La raccolta dei rifiuti,

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in forza di una convenzione stipulata il 15 marzo 2005, viene gestita dalla GE.SE.NU. spa, società che detiene quote azionarie della Tirrenoambiente spa;
l'ATO ME 3 che comprende il territorio del comune di Messina; i servizi di igiene ambientale vengono curati dalla Messinambiente spa;
l'ATO ME 4 che comprende trentadue comuni della fascia ionica della provincia. Il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani è stato affidato a seguito di pubblico incanto alla AMIA spa. La gara è stata però annullata con decreto del presidente della regione siciliana del 23 luglio 2008 e, nelle more dell'espletamento del nuovo incanto, il servizio continua ad essere gestito dall'AMIA. I rifiuti raccolti nei suddetti comuni vengono conferiti presso la discarica di Motta Sant'Anastasia, gestita dall'impresa OIKOS spa;
l'ATO ME 5 che comprende i quattro comuni dell'arcipelago eoliano.
L'unica discarica operativa sul territorio provinciale è quella situata nel territorio del comune di Mazzarà Sant'Andrea, gestita dalla società mista Tirrenoambiente spa.
La provincia di Messina, analogamente alle altre provincie della regione siciliana, registra una serie di criticità legate essenzialmente alla mancanza di impianti, unitamente ad un insufficiente livello di raccolta differenziata, al dissesto finanziario degli ATO, trasformatisi ormai ovunque in strutture burocratiche prive di qualsiasi utilità effettiva e fonte esclusivamente di gestioni clientelari di posti di lavoro.
Nel corso dell'audizione sia il prefetto che il questore di Messina hanno evidenziato le problematiche connesse alla gestione dei rifiuti nell'ambito provinciale, problematiche che possono in qualche modo essere sintetizzate come segue.
L'unica discarica provinciale è quella di Mazzarà Sant'Andrea, in un comune compreso in un'area particolarmente colpita dal fenomeno criminale.
Si tratta di una discarica molto grande che dovrebbe essere fornita di un impianto di biostabilizzazione da realizzarsi ad opera della società Tirrenoambiente spa, la società mista pubblico privata che gestisce la discarica.
La predetta società è stata coinvolta in un'indagine, cosiddetta operazione «Vivaio», in merito alla quale sono state fornite importanti informazioni dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Messina, e della quale si tratterà nel dettaglio successivamente.
Ciò che è stato opportunamente sottolineato dal prefetto di Messina è che la società soffre di una costante pretesa creditoria nei confronti degli ATO della provincia che conferiscono i rifiuti nella discarica di Mazzarà Sant'Andrea (si pensi che dalla società Messinambiente vanta circa 15 milioni di euro). Per esemplificare, tutto ciò che l'ATO 3 versa a Messinambiente serve quasi esclusivamente a pagare gli stipendi; Messinambiente non ha la possibilità di acquistare i mezzi né di fare la gestione del verde pubblico.

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Peraltro i costi del conferimento dei rifiuti di Messina nella discarica di Mazzarà Sant'Andrea sono elevati, trattandosi dell'unica discarica esistente in provincia che pratica prezzi elevati e che si trova a notevole distanza dalla città di Messina.
Significativo è quanto dichiarato dal prefetto di Messina proprio con riferimento alle pretese creditorie che la Tirrenoambiente vanta nei confronti degli ATO della provincia «il fatto stesso di come questa società sia riuscita, come si evince almeno dalle denunce presentate, dalle operazioni, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, a estendere l'area della superficie della discarica e quindi a rendere quanto mai permanente la condizione di essere l'unico sito di discarica presente nella provincia, condizionando di fatto tutto il resto, effettivamente testimonia anche questa situazione. Un corretto impianto gestorio, sotto l'aspetto imprenditoriale della società, non potrebbe consentire questa mancata riscossione, persistente negli anni, dei crediti vantati. Se tutto fosse legato soltanto ad un corretto assetto imprenditoriale ordinario, una società che vanta crediti per 20 milioni di euro con un ATO e per altri 25 milioni con un altro, secondo me sarebbe stramazzata al suolo. Evidentemente si riesce, in una logica molto più articolata, a trovare tuttavia la possibilità di proseguire l'attività».
Alla specifica domanda del presidente della Commissione, onorevole Gaetano Pecorella, che ha chiesto in cosa consista la logica più articolata, il prefetto ha risposto che la società evidentemente acquisisce disponibilità che non derivano esclusivamente da quelle che sono le entrate della società, che peraltro dovrà realizzare l'impianto di biostabilizzazione. (La Tirrenoambiente è titolare dell'autorizzazione dell'impianto di biostabilizzazione).
Sono state tenute una serie di riunioni in prefettura proprio in relazione alle difficoltà economiche della società che gestisce la discarica di Mazzarà Sant'Andrea a causa del mancato pagamento delle spettanze dovute da parte degli ATO, i quali, a loro volta, non ricevono i pagamenti da parte degli utenti. Sono stati nominati anche dei commissari ad acta che si sono insediati nell'ATO Messina 1 e nell'ATO Messina 2 per verificare concretamente la possibilità di avviare le procedure di recupero dei crediti, ma neanche i commissari ad acta muniti di poteri straordinari sono riusciti ad ottenere risultati significativi.
Il presidente della provincia di Messina, nel corso dell'audizione avvenuta il 30 settembre 2009, ha evidenziato l'anomalia dell'esistenza di una sola discarica per tutta la provincia, con conseguente penalizzazione, da questo punto di vista, di un solo sito. È stato poi segnalato sempre nel corso dell'audizione che rifiuti misti di tutti i generi, e anche veicoli fuori uso, sono stati sversati negli alvei dei fiumi, soprattutto nei torrenti cittadini di Messina, ma anche in quelli degli altri comuni della provincia, e in relazione a questa situazione sono state bandite le gare per aggiudicare i lavori di rimozione dei rifiuti sul territorio.
Quello che è stato certamente rilevato è l'esigenza di incentivare i controlli sul territorio, perché non pare siano state mai accertate e neppure ipotizzate responsabilità di soggetti individuati in merito all'abbandono dei rifiuti in queste zone.

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Il problema riguarda specificatamente anche la città di Messina nella quale, come evidenziato dal sindaco nel corso dell'audizione, sono state censite sessantuno discariche abusive.
Proprio con riferimento alla città di Messina, il sindaco ha sottolineato come le spese per il conferimento dei rifiuti in discarica siano elevatissime. Non è possibile incentivare la raccolta differenziata, che in questa fase si attesta su livelli bassissimi (5-6%), dovendosi a tal fine effettuare investimenti che non è possibile sostenere in quanto la società Messinambiente (la società che per conto del comune si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani) ha un piano industriale che si aggira intorno ai 47 milioni di euro che derivano da una eccessiva dilatazione del personale (il personale, al momento della costituzione della società, passò da circa trecentodue dipendenti a cinquecentosette dipendenti).
Vi è l'intenzione da parte del comune di Messina di aprire una discarica propria in contrada Pace, per contenere i costi del trasporto e del conferimento in discarica, ma ovviamente la logica che caratterizza tutta la regione è sempre quella di tamponare i problemi in via temporanea ed urgente, ma non di pianificare in maniera razionale e risolutiva la gestione del ciclo dei rifiuti.
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti.
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina.
Le principali informazioni sono state acquisite attraverso l'audizione dei magistrati che nel distretto della corte d'appello di Messina hanno svolto significative indagini nel settore dei reati ambientali.
Il procuratore generale presso la corte d'appello di Messina (che ricomprende i tribunali di Messina, Mistretta, Patti e Barcellona Pozzo di Gotto) ha introdotto in via generale la questione relativa alle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nel distretto di Messina evidenziando come, per quanto concerne le procure ordinarie, siano pendenti moltissimi procedimenti per fatti connessi allo smaltimento dei rifiuti.
Sebbene si tratti di procedimenti per reati spesso di tipo contravvenzionale, apparentemente meno gravi rispetto al crimine organizzato, organicamente presi evidenziano un'autentica attività di sciacallaggio e di depredazione del territorio, con guasti in alcuni casi di carattere irreversibile.
In alcuni procedimenti sono stati contestati anche reati contro la pubblica amministrazione, connessi ai reati ambientali, a carico del presidente o degli amministratori dei locali ATO.
Il procuratore della Repubblica di Messina ha poi evidenziato un dato di particolare interesse per la Commissione, avendo segnalato (come peraltro avviene in tutti i distretti giudiziari presi in considerazione) un fenomeno diffuso di abbandono di rifiuti speciali e di creazione di discariche abusive. Le discariche abusive censite nel solo territorio comunale di Messina sono oltre cinquanta e contengono rifiuti di tutti i tipi.

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Evidentemente si tratta di un fenomeno che in qualche modo è stato determinato dall'assoluta carenza di strutture adeguate nel territorio: da un monitoraggio effettuato in via amministrativa è emerso che nel territorio di Messina sono solo due i siti autorizzati alla discarica di rifiuti speciali, e nessuno dei due risulta autorizzato a ricevere rifiuti pericolosi.
È stata poi aperta un'indagine giudiziaria, avviata a seguito del sequestro di un'ex discarica di rifiuti solidi urbani sita in località Portella Arena, nella quale erano stati rilevati numerosi rifiuti speciali. Si tratta di una discarica che ha determinato una problematica ambientale di tale portata che è stato necessario un appalto per concepire un piano di indagini per la messa in sicurezza del territorio.
Proprio con riferimento a questo aspetto, il caso segnalato è emblematico della carenza di controlli sul territorio da parte degli organi amministrativi a ciò deputati. Mancanza di controlli sia nella fase preventiva, sia, evidentemente, nella fase repressiva.
Quanto alle segnalazioni dei cittadini, i magistrati del distretto di Messina hanno evidenziato come in effetti non vi sia da questo punto di vista grande collaborazione.
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Anche il procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto ha sottolineato la gravissima scopertura dei posti di pubblico ministero all'interno della procura, tanto che vi è il concreto rischio che all'interno dell'ufficio giudiziario operi il solo procuratore capo, senza sostituti.
Si tratta di una situazione di assoluta criticità che, peraltro, si è registrata in diverse procure della Repubblica in Sicilia, dove viceversa, per le evidenti problematiche attinenti alla endemica presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso, alle gravissime problematiche attinenti al ciclo dei rifiuti, all'entità dei reati ambientali e dei connessi reati contro la pubblica amministrazione, sarebbe necessaria la copertura di tutti i posti previsti nella pianta organica degli uffici giudiziari (condizione essenziale, questa, anche per la creazione dei gruppi di lavoro specializzati nella specifiche materie, compresa quella ambientale).
In merito ai procedimenti pendenti, sono stati segnalati, alla data dell'audizione avvenuta nel mese di settembre 2009, ben ottantatré procedimenti iscritti per reati previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006.
La procura della Repubblica presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha inoltre competenza territoriale sui territori di Milazzo, San Filippo e Pace di Mela in cui operano importanti industrie per la produzione di energia elettrica, per la raffinazione dei prodotti petroliferi e per la produzione di acciaio. La presenza di queste attività ha comportato nel tempo l'iscrizione e l'istruzione di numerosi procedimenti in materia di reflui industriali e immissioni non autorizzate in atmosfera.
Sono state inoltre segnalate indagini in corso su alcune discariche e su impianti di depurazione che servono per il comprensorio

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barcellonese e milazzese. In questo ambito sono state effettuate attività di controllo e in alcuni casi è stato disposto il sequestro di impianti di produzione agrumaria per l'illegale immissione nella rete fognaria di reflui industriali non trattati.
Nel corso dell'audizione il procuratore ha poi evidenziato che di recente gli amministratori dell'ATO Messina 2, che si occupano di Barcellona Pozzo di Gotto, sono stati citati a giudizio per il reato di falso in bilancio.
3.2) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Patti e dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Mistretta.
I procuratori della Repubblica di Patti e di Mistretta non sono stati sentiti nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione, in quanto, come precisato dal procuratore generale della Repubblica di Messina, non avevano sostituti procuratori all'interno dei rispettivi uffici, che non potevano quindi restare del tutto sguarniti (è di tutta evidenza l'emergenza che si registra in alcuni uffici di procura in cui, in sostanza, il procuratore capo non ha sostituti procuratori).
Con una nota inviata alla Commissione sono stati segnalati dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mistretta i seguenti procedimenti pendenti per reati ambientali:
ventuno procedimenti iscritti a noti, prevalentemente per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
ventitre procedimenti iscritti a ignoti, sempre in maggioranza per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mistretta ha poi segnalato, nella nota inviata alla Commissione, due procedimenti attinenti al ciclo dei rifiuti, entrambi nella fase delle indagini preliminari ed iscritti nell'anno 2009.
Il primo è iscritto nei confronti dei legali rappresentanti della Tirrenoambiente e dell'ATO Messina 1 per la presunta illegittima sospensione del servizio di raccolta e conferimento dei rifiuti solidi urbani (verosimilmente connesso al mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti, che poi hanno sospeso l'attività lavorativa in forma di protesta).
Il secondo, iscritto per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, riguarda l'illegittima presunta gestione della discarica e il mancato e irregolare smaltimento dei rifiuti, anche di tipo speciale, in Tusa e all'interno del Parco dei Nebrodi.
Anche i dati forniti dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Patti sono dello stesso tenore, nel senso che il numero dei procedimenti pendenti in materia ambientale è sostanzialmente lo stesso e le indagini riguardano essenzialmente il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006.

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4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti. Procedimenti trattati dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina.
Il procuratore della Repubblica di Messina, sede della procura distrettuale antimafia, ha fornito, nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta, un quadro organico dell'intervento delle associazioni di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, evidenziando anche alcune caratteristiche specifiche del territorio di Messina.
Innanzi tutto, la mafia a Messina per molti anni si era dedicata ad un'attività predatoria di primo livello attraverso il racket delle estorsioni; si trattava di gruppi criminali che, circa venti anni fa, non erano organicamente strutturati ma erano comunque organizzati in base ad una precisa ripartizione dei territori cittadini.
Il secondo livello è stato rappresentato dall'attività di reimpiego dei patrimoni illecitamente acquisiti, mediante investimenti immobiliari.
Il terzo livello è stato rappresentato dalle attività finalizzate all'appropriazione di attività aziendali ed imprenditoriali, in una sorta di progressione criminosa che partiva dall'acquisizione di capitali illeciti, proseguiva con l'investimento in acquisizioni immobiliari, fino al reimpiego in attività economiche e finanziarie, reimpiego incidente in maniera gravissima sugli equilibri delle regole del mercato e sulla qualità dei servizi resi.
Il procuratore, nel corso dell'audizione, ha fornito un quadro generale, innanzi tutto, in merito alle caratteristiche delle organizzazioni criminali di stampo mafioso sul territorio della provincia di Messina.
Messina come tale, probabilmente anche per la sua collocazione geografica, non è stata mai sottoposta al controllo diretto né da parte della 'ndrangheta calabrese, né da parte di «cosa nostra» palermitana o di «cosa nostra» catanese. Ci sono stati tentativi falliti di conquista del territorio messinese da parte dell'una o dell'altra organizzazione.
Le tre organizzazioni hanno effettuato di volta in volta investimenti in settori immobiliari, ma hanno evitato l'appropriazione diretta del territorio, che avrebbe probabilmente innescato un conflitto tra organizzazioni criminali.
Fatta questa premessa in merito all'evoluzione nel tempo ed alle caratteristiche della mafia siciliana nella provincia di Messina, il procuratore della Repubblica Guido Lo Forte ha fatto riferimento al processo che ha riguardato la società Messinambiente spa, emblematico di come esponenti di «cosa nostra» palermitana, catanese, nonché della 'ndrangheta calabrese si siano dedicati, trovando una sorta di accordo fra loro, ad affari di notevole interesse economico (si tratta evidentemente del terzo livello cui prima aveva fatto riferimento il magistrato).
Si tratta di un processo attualmente pendente in fase dibattimentale, le cui indagini sono state effettuate dalla direzione investigativa antimafia e dalla questura di Messina.
Nel decreto che dispone il giudizio, trasmesso agli atti della Commissione, è contestato il reato di associazione a delinquere di

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stampo mafioso cui avrebbero partecipato, tra gli altri, soggetti in parte riconducibili ad ambienti imprenditoriali, in parte ad ambienti politici, ed in parte ad ambienti della criminalità organizzata messinese, barcellonese e catanese.
L'associazione a delinquere, secondo l'impostazione accusatoria, era finalizzata:
ad acquisire il controllo delle attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici in materia ambientale, in special modo nel settore della raccolta e della gestione dei rifiuti;
all'accaparramento delle risorse finanziarie pubbliche collegate;
ad una molteplicità di vantaggi collaterali (assunzione di dipendenti nelle più varie qualifiche, favori a familiari e conoscenti);
all'impiego dei capitali illecitamente ottenuti per il soddisfacimento di esigenze personali proprie, di esigenze più strettamente aziendali.
Risulta inoltre contestato il reato di cui all'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997 (ora confluito nel nuovo articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), in quanto gli indagati, nelle diverse qualità assunte in seno alla società mista Messinambiente spa ed alla società Altecoen srl (componente privata della stessa società mista), attraverso l'allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, avevano gestito abusivamente ingenti quantità di rifiuti al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel conseguimento di una cospicua riduzione dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani dei comuni di Messina e Taormina.
Ebbene, è stato accertato l'inserimento nella società a capitale misto Messinambiente, di altra società, l'Altecoen srl (Alternativa ecologica ennese), leader nei primi anni 2000 nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti nella Sicilia orientale.
L'Altecoen a Messina aveva assunto un cospicuo numero di dipendenti, buona parte dei quali provenienti dal rione Giostra della città di Messina, controllato dal capomafia Luigi Galli, più volte condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso ed attualmente detenuto in regime di 41-bis.
Anche sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia messinesi, è emerso che l'Altecoen, società di Enna, era sponsorizzata sul territorio di Messina dalla mafia catanese facente capo a Nitto Santapaola, e in epoca precedente all'aggiudicazione dell'appalto vi era stato un incontro tra esponenti della mafia catanese ed esponenti del gruppo mafioso messinese, che aveva ottenuto come contropartita l'assunzione di personale all'interno dell'impresa.
Alla gara avevano partecipato anche altre imprese, unitamente all'Altecoen, tutte riconducibili a «cosa nostra»: oltre all'Altecoen, sponsorizzata da Nitto Santapaola, vi era la Lex, società cooperativa a responsabilità limitata, controllata sempre da Nitto Santapaola e la Termomeccanica spa, sponsorizzata da Angelo Siino.
In quell'occasione, dunque, vi era stata una partecipazione di diverse imprese alla gara d'appalto, partecipazione che però non era espressione di una concorrenza reale, ma di una concorrenza fittizia.

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Spesso, ha aggiunto il procuratore (e quello sopra descritto appare un caso emblematico) si fornisce l'apparenza di una gara con una pluralità di partecipanti, ma in effetti i partecipanti sono sempre gli stessi, o comunque sono riconducibili agli stessi interessi.
A questa operazione aveva partecipato anche la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto tramite Giuseppe Gullotti, che per molti anni è stato capo di una importante famiglia mafiosa del barcellonese ed è stato condannato con sentenza definitiva alla pena di trenta anni di reclusione, attualmente è detenuto in regime di 41-bis.
In sostanza la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto avrebbe rappresentato, in questo affare, gli interessi della mafia palermitana. Ed infatti, dalla fine degli anni ottanta la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto ha avuto strettissimi contatti con «cosa nostra» palermitana, e importanti «uomini d'onore» della famiglia mafiosa palermitana di Salvatore Lo Piccolo, divenuti poi collaboratori di giustizia, avevano trascorso la loro latitanza in territorio di Barcellona.
Peraltro, ha aggiunto il procuratore Lo Forte, sulla base di ulteriori indagini sono emersi elementi che rafforzano l'ipotesi che Salvatore Lo Piccolo si rivolgesse agli esponenti mafiosi di Barcellona allorché doveva condizionare gli appalti o richiedere il pizzo alle imprese partecipanti agli appalti, nel caso si trattasse di imprese messinesi.
Il processo cui ha fatto riferimento il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Messina, processo rispetto al quale attualmente è in corso di celebrazione il dibattimento, rappresenta un caso emblematico di come diversi gruppi criminali, unitamente a esponenti della pubblica amministrazione, possano accordarsi per controllare il settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, approfittando delle maglie lasciate aperte dal sistema delle società miste.
Più volte e in diverse sedi è stato sottolineato come l'esperienza delle società miste nella gestione del ciclo dei rifiuti urbani in Sicilia si sia rivelata fallimentare perché troppo spesso terreno di compenetrazione tra strutture amministrative e organizzazioni criminali, consentendo il pieno dispiegamento del patto tra mafia, mala gestione e cattiva politica che interessa i settori della pubblica amministrazione interessati da cospicui flussi di erogazione di denaro pubblico.
Altro significativo procedimento penale cui ha fatto riferimento il procuratore Lo Forte nel corso dell'audizione è quello relativo alla cosiddetta operazione «Vivaio» (proc. n. 1541/07 mod 21, in relazione al quale è stato emesso dal Gup il provvedimento che dispone il giudizio con udienza fissata innanzi alla corte d'assise di Messina il 20 luglio 2009; quindi allo stato dovrebbe essere già in corso la fase dibattimentale del processo), nel quale sarebbero emerse con chiara evidenza le infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione dei rifiuti.
Si tratterebbe poi di un processo emblematico di una delle modalità attraverso le quali le organizzazioni criminali acquisiscono il controllo diretto dei più importanti appalti.
Negli ultimi due anni, uno degli affari più importanti, dal punto di vista del settore della gestione e dello smaltimento dei rifiuti, è stato quello della discarica di Mazzarà Sant'Andrea, discarica che per una

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serie di ragioni è stata deputata a servire le esigenze di smaltimento rifiuti della maggior parte dei comuni della provincia di Messina.
Proprio con riferimento alla discarica di Mazzarà Sant'Andrea sarebbe emersa una sorta di gestione non ufficiale da parte della mafia barcellonese, e in particolare da parte della famiglia mafiosa di Mazzarà Sant'Andrea.
Il comune di Mazzarà Sant'Andrea aveva inteso progettare i lavori per l'ampliamento della discarica, gestita dalla società Tirrenoambiente. I lavori che avrebbero dovuto essere eseguiti dalla Giano Ambiente srl e che erano stati subappaltati alla società IBG srl, sarebbero stati di fatto realizzati dalla Carot srl amministrata da un notorio mafioso, Michele Rotella.
La società Carot srl si sarebbe inserita attraverso modalità tipicamente mafiose. Pochi giorni dopo l'inizio dei lavori da parte della IBG, questa stessa impresa subì dei danneggiamenti. Successivamente si inserì la Carot la cui partecipazione venne ufficializzata, dopo avere di fatto assunto il controllo dei lavori grazie all'opera di «persuasione» effettuata nei confronti della IBG, e venne incaricata ufficialmente dalla Tirrenoambiente, benché fosse priva, secondo quanto sostenuto dagli inquirenti, dei requisiti necessari per svolgere quel tipo di attività.
Il controllo mafioso in questo affare sarebbe stato esercitato, sebbene fosse detenuto, dal capo della famiglia mafiosa di Mazzarà Sant'Andrea, Carmelo Bisognano, il quale si era avvalso anche in maniera spudorata dell'impresa individuale di Teresa Truscello, sua convivente, impresa che si occupava del movimento terra per la copertura degli strati di rifiuti solidi urbani, utilizzando materiale ferroso proveniente dalla discarica di Contrada Zuppà.
In questa vicenda, a parte il controllo mafioso, si sarebbero inserite una serie di truffe basate su duplicazioni di compensi, fatturazioni inesistenti e quant'altro.
Come precisato dal magistrato, la mafia non si accontenta semplicemente di acquisire il controllo di questa criminalità economica, ma lucra ulteriormente, percependo tutta una serie di compensi e di denaro per lavori mai eseguito.
Nel corso delle indagini erano state acquisite le dichiarazioni di Enzo Marti, il quale era inizialmente il responsabile tecnico delle discariche di Mazzarà Sant'Andrea e Tripi per conto della Tirrenoambiente.
Si è trattato, ha spiegato il procuratore della Repubblica, di una collaborazione graduale, in quanto, in un primo momento, il teste aveva reso alcune dichiarazioni concernenti frodi realizzate mediante fatture emesse per operazioni inesistenti da società fornitrici, collegate a dirigenti e consulenti della società Tirrenoambiente.
Successivamente venne consumato l'omicidio in pregiudizio di Rottino Antonino (il 22 agosto 2006), già braccio destro di Bisognano Carmelo, ma progressivamente depotenziato dalla scemata leadership del suo capo in ragione dello stato detentivo in regime di 41 bis cui si trovava sottoposto sin dall'anno 2006.
A seguito delle indagini effettuate dal Ros dei Carabinieri, anche attraverso l'attivazione di operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale, è risultato che in realtà Enzo Marti si era consapevolmente

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e volontariamente assoggettato, dapprima, al mafioso Rotella, e poi, al mafioso Bisognano, ed in relazione a questa vicenda il Marti è stato condannato dal Gup del tribunale di Messina, alla pena di anni sei e mesi quattro di reclusione perché ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione di stampo mafioso rispetto alla famiglia mafiosa di Mazzarà Sant'Andrea.
Dopo la condanna Enzo Marti ha reso una collaborazione più ampia, utile sia rispetto al processo in corso, che rispetto ad ulteriori indagini.
Ebbene, con riferimento alle dichiarazioni rese dal procuratore Lo Forte, il presidente (Sebastiano Giambò) e l'amministratore delegato (Giuseppe Innocenti) della società Tirrenoambiente, hanno chiesto di essere sentiti da questa Commissione per chiarire il loro punto di vista. Sebastiano Giambò è stato rinviato a giudizio e per questo si è dimesso dalla carica di amministratore delegato della Tirrenoambiente, ma ricopre attualmente la carica di presidente della società.
Hanno in sostanza rappresentato che:
la società Tirrenoambiente nel tempo non si era più avvalsa della collaborazione dell'impresa Rotella, impresa che peraltro aveva utilizzato per attività di movimenti terra i mezzi di alcuni subappaltatori, non autorizzati, ma tali fatti non erano a conoscenza della Tirrenoambiente;
il Marti in sostanza era un soggetto che aveva rapporti con personaggi mafiosi ed era stato lui protagonista di attività illecite ai danni della Tirrenoambiente;
la ditta di Truscello Teresa non aveva mai operato nella discarica di Mazzarà Sant'Andrea;
le dichiarazioni rese da Marti in merito ai bilanci della società, alle doppie fatturazioni eccetera erano da ritenere false, in quanto Marti percepiva danaro da Rotella e da Bisognano/Truscello e non faceva in effetti gli interessi della società.
Naturalmente il processo dovrà essere celebrato innanzi al giudice competente che è la corte d'assise d'appello di Messina.
Il dato obiettivo e incontrovertibile, allo stato, è che vi sono state complesse ed articolate indagini caratterizzate dall'acquisizione di elementi di prova di diversa natura e di diversa fonte, sia dichiarativa che documentale, dall'esecuzione di operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale, dall'espletamento di consulenze tecniche, elementi tutti vagliati dal giudice dell'udienza preliminare e giudicati idonei per sostenere l'accusa nel giudizio dibattimentale innanzi alla corte d'assise di Messina.
Il procuratore della Repubblica di Messina, dottor Guido Lo Forte, è stato sentito nuovamente dalla Commissione e, nel corso dell'audizione, fornendo ulteriori precisazioni in merito al processo in corso (nel quale a breve dovrà essere sentito il teste Marti), ha esibito copia del decreto che dispone il giudizio, nel quale risultano articolati i capi di imputazione contestati agli indagati.

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Il caso sopra delineato rappresenterebbe uno di quei casi in cui si assiste ad un controllo diretto da parte delle organizzazioni criminali di stampo mafioso rispetto al settore dei rifiuti.
Per ciò che concerne le infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore specifico dei rifiuti è stato inoltre segnalato un procedimento che si è concluso in primo grado con sentenza di condanna nell'ambito della cosiddetta «Operazione Gabbiani» (proc. 1850/03).
In questo processo è stata accertata la penale responsabilità degli imputati che, avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale, con minacce avevano costretto il dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Barcellona Pozzo di Gotto (Ing. Salvatore Bonavita) a commettere una serie indeterminata di reati di falso in atto pubblico e di abuso in atti di ufficio in favore della cooperativa «Libertà e lavoro» amministrata da Aragona Andrea (successivamente deceduto), nell'ambito della procedura di gestione ed affidamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Ciò che è emerso particolarmente dalle dichiarazioni rese dal procuratore Guido Lo Forte è che, in sostanza, vi sono due livelli di inserimento della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore concernente la gestione e lo smaltimento dei rifiuti.
Da un lato, si registra un livello più basso che si manifesta attraverso attività finalizzate a trarre profitto dalla gestione altrui, attraverso l'imposizione del «pizzo» e l'imposizione dell'assunzione di soggetti appartenenti all'organizzazione criminale (o comunque vicini all'organizzazione) all'interno delle imprese che operano nel settore dello smaltimento e della raccolta dei rifiuti.
Dall'altro, si registra invece un livello più elevato, quale quello emerso nell'ambito dell'inchiesta relativa alla discarica di Mazzarà Sant'Andrea, in cui le organizzazioni di stampo mafioso mirano ad acquisire il controllo ed a gestire direttamente, per il tramite di proprie imprese, le attività del settore, riuscendo a farsi subappaltare i lavori.
Il problema degli appalti e dei successivi subappalti è particolarmente sentito in Sicilia. Se certi appalti non riescono proprio a partire e ad essere avviati, in una sorta di «stallo» amministrativo, la ragione (evidenziata dal procuratore Lo Forte anche a seguito dei suoi dati conoscitivi acquisiti nel corso della sua attività sia presso la procura della Repubblica di Palermo che presso la procura della Repubblica di Messina) va ricercata proprio nella capillare capacità di infiltrazione nel settore da parte delle organizzazioni criminali. Fino a quando non si riescono a raggiungere tutti gli accordi in merito all'appalto, ai subappalti, al danaro da consegnare alle organizzazioni criminali, a come tenere la contabilità, ebbene, fino a quando non ci si accorda su tutti questi aspetti le procedure d'appalto non vengono avviate.
Si tratta evidentemente di una necessaria semplificazione del fenomeno, che nella realtà può presentare sfaccettature diverse, ma nella sostanza le problematiche connesse agli appalti sono quasi sempre le stesse.
Il problema in generale (ed in questo senso si era espresso anche il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, dottor

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Francesco Messineo) non riguarda gli appalti ma i subappalti: normalmente a vincere l'appalto è una società credibile che però poi subappalta i lavori ad altra meno credibile.
Peraltro, anche sulla base delle informazioni acquisite dai Prefetti, sono emerse tutte le inefficienze del sistema nel rilascio della certificazione antimafia, spesso facilmente eludibile.
E le imprese che pur pulite, riescono ad aggiudicarsi un appalto al sud, dovendo operare in una realtà particolare quale quella siciliana, cercano una sorta di appoggio sul posto; e quindi da un lato sono vittime e dall'altro cercano canali per poter operare senza avere problemi di danneggiamento o altro.
Non è neanche ipotizzabile un costante controllo di polizia per verificare chi operi effettivamente sui cantieri.
Su esplicita richiesta del presidente della Commissione, onorevole Gaetano Pecorella, il procuratore della Repubblica ha poi indicato una possibile soluzione per dissuadere le imprese sane a procedere a subappalti non autorizzati, noli a freddo e quant'altro, soluzione che andrebbe cercata non sul piano del diritto penale, ma ipotizzando a carico delle imprese che operino nel senso sopra indicato sanzioni di tipo amministrativo molto gravi per gli interessi aziendali, come ad esempio l'impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione o di partecipare alle gare d'appalto per un congruo numero di anni.
Il sistema delle sanzioni civili e amministrative potrebbe rivelarsi più adeguato rispetto alle imprese di grosse dimensioni che potrebbero sfuggire a sanzioni di tipo penale a causa di una forma di deresponsabilizzazione a cascata nell'ambito delle società che utilizzano molto lo strumento della delega, rendendo così più difficoltosa l'individuazione del responsabile e l'accertamento dell'elemento psicologico del reato.
Si tratterebbe di elaborare una norma di prevenzione generale idonea a dissuadere le imprese sane dall'intrattenere rapporti con imprese collegate alla criminalità, organizzata e non.
Non sembra neanche facile elaborare un sistema di controlli rispetto al settore dei subappalti, non essendo certamente sufficienti meri controlli di tipo amministrativo, atteso che da un punto di vista formale compare normalmente quale subappaltatrice un'impresa sana.
Il vero problema è che l'impresa che effettua realmente i lavori oggetto del subappalto è diversa da quella che compare formalmente da un punto di vista documentale.
L'unico accertamento penetrante è quello che viene effettuato per il tramite di indagini di tipo giudiziario, attraverso sopralluoghi sul cantiere per verificare quali mezzi siano adoperati, a quale impresa appartengano, per chi lavorino gli operai.
È quindi una verifica che potrebbe essere effettuata già nel corso di eventuali attività di vigilanza e prevenzione da parte degli ispettori del lavoro, che effettuano in via amministrativa (ma le verifiche possono poi trasformarsi in altrettanti procedimenti penali) i controlli sul cantiere, sull'adozione delle misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni nei posti di lavoro. Si tratta di una verifica che potrebbe poi consentire di effettuare degli accertamenti sui cantieri e fare emergere elementi tali da giustificare l'avvio di una mirata attività di indagine.

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III - Provincia di Catania.
1) Attività della Commissione. Premessa.

omissis ..... (NDR. il lettore potrà consultare, per continuare la lettura, il link originale)



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omissis .......
Le proteste hanno creato evidenti disagi alle popolazioni a causa dell'accumulo dei rifiuti e le soluzioni trovate per tamponare temporaneamente le forme di protesta non sono comunque riuscite a limitare e contenere le forme di agitazione.
La raccolta differenziata è a livelli bassissimi e le due discariche hanno capienza fino al 2013, essendo stati approvati progetti di ampliamento delle vasche.
Sul punto, il presidente della provincia di Catania ha segnalato un'anomalia relativa proprio a questo aspetto: in sostanza, nella provincia alcuni operatori che si occupano della raccolta dei rifiuti gestiscono anche la discarica ed è evidente che non vi è alcun interesse da parte di questi operatori ad incentivare la raccolta differenziata. Il soggetto che ha interesse ad effettuare la raccolta dei rifiuti è anche colui che ha interesse a che venga conferito il più possibile in discarica.
Sempre il presidente della provincia, nel corso dell'audizione, ha evidenziato come vi sia un'assoluta carenza di impianti e la gestione delle discariche avvenga in una sorta di monopolio reale: «Questi sono alcuni temi che nella provincia si profilano. Che ci possa essere interesse da parte di alcune organizzazioni criminali nelle strutture interne non siamo in condizioni di dirlo. Certamente il settore è molto appetibile e in Sicilia, a mio avviso, contaminazioni se ne possono verificare».
Quanto al sistema dei controlli, appare certamente significativo il sequestro operato dalla Guardia di finanza di una discarica abusiva che si estendeva su cinquantamila metri quadrati di terreno.

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... omissis ...
Anche in provincia di Catania, quindi, si registra una situazione molto grave sotto il profilo della gestione del ciclo dei rifiuti, in quanto, da un lato, gli ATO si trovano in una condizione di dissesto finanziario, dall'altro, l'unica forma di smaltimento dei rifiuti è il conferimento nelle discariche, che peraltro sono in via di esaurimento.

....omissis .....

e dei responsabili. Quasi mai le indagini giudiziarie riescono ad accertare le penali responsabilità dei singoli.
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti e infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Con riferimento specifico agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, particolarmente significative sono state le notizie fornite dal questore e dai magistrati della corte d'appello di Catania auditi nel corso della missione effettuata dalla Commissione in Sicilia.

omissis.....

Questi episodi sono peraltro stati analizzati dalle precedenti Commissioni parlamentari che ne hanno per l'appunto evidenziato l'importanza sotto il profilo dell'interesse evidente della criminalità organizzata per un settore ritenuto remunerativo.
Le indagini attuali hanno consentito di delineare un interesse marcato della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, soprattutto per quel che concerne l'attività di raccolta dei rifiuti urbani.

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2 commenti:

  1. chi ringraziare per tutto questo???
    ho letto la relazione, una vergogna incredibile!
    hanno anche l'ardire di ammantarsi di perbenismo!
    che faccia tosta!
    denunciano pure i giornalisti a spese nostre!
    vergogna, perche' non denunciare la commissione parlamentare??

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  2. Caro Macchianera come hai potuto riscontrare, dalla relazione si evince che il "Verminaio" scoperto anni or sono a Messina dalla Commissione Antimafia è proliferato anzichè regredire. Una volta creata la discarica gli stessi vermi arriveranno fino alla nostra cara Sant'Agata. Solamente una forte mobilitazione popolare, un risveglio delle coscienze civili potrebbe evitare tutto questo.
    Saluti
    Antonio M.

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Sant'Agata di Militello. L'Altra Informazione, Il Blog di cirosca.